Ricordi di quarantena alla comunità per minori “Peppino Brancati” – Salesiani Torre Annunziata
Attività sospese, incontri sospesi, emozioni attive….Tutto ormai si è congelato, la ripresa sembra difficile. Le nostre abitudini sono cambiate, i nostri programmi anche, ma questo non ci abbatte. Siamo sempre qui, noi del Servizio Civile Universale.

In questi giorni difficili ho riflettuto molto su quello che abbiamo costruito con i ragazzi . Non mancano i flashback, i ricordi belli e quelli brutti, ogni minimo istante vissuto insieme. Ho avuto modo di sperimentare la loro crescita, di conoscere la loro storia, di vivere il loro cambiamento, ero appena all’inizio, ma già avevo appreso tanto.
Ricordo ancora il mio primo giorno, quando mi catapultai in questa splendida realtà:
Primo giorno
E’ stato un impatto esplosivo di emozioni. Alcuni erano curiosi, altri molto schivi.
Tra questi non posso mai dimenticare , un ragazzino di appena quindici anni, giunto qui in comunità per aver commesso più di un atto illecito.
– E non mi stare sempre vicino! – Mi sbraitò contro.
Con l’aria di chi non voleva nè parlare, nè considerarti. Con un tono e uno sguardo che esprimevano rabbia, ma anche tanta…anzi, enorme tristezza.
Non potei nemmeno rispondere che già si era allontanato, lasciandomi interdetto.
Ecco come è andato il mio primo giorno. Non c’era comunicazione e il ragazzo sembrava sempre più ribelle e scontroso verso tutti.
Allora rimanevo li, a osservarlo. Poco a poco cercavo un minimo contatto, anche solo per seguirlo nelle attività che doveva svolgere: Intrattenimenti, doveri, regole.
Qualche settimana dopo…
-Paolo, ti ricordo che oggi dobbiamo riordinare la stanza- Gli spiegai con molta calma.
– Ma chi vuole farlo? chi me lo fa fare? fallo tu, non ho voglia!- Ribattè con il suo solito tono quasi intimidatorio, andandosene via.
Era inutile pensai, non potrà mai cambiare, nemmeno in queste piccole cose. Come può un ragazzo del genere cambiare vita? Mi chiesi.
Ogni giorno era sempre uno scontro tra entrambi su chi la spuntava, tutti i tentativi sembravano vani.
-Tu non sai nulla di me! Non conosci niente di quello che vivo, chi sei tu per dirmi cosa devo o non devo fare?-
Mi urlò contro, come sempre.
Gli chiesi allora di parlarne, di aprirsi, di sfogarsi con me, io ero li per questo, per tentare di seguirlo e guidarlo.
Lui mi guardò per un attimo e poi, se ne andò via, nella sua stanza.
Un mese dopo il mio primo giorno
Dopo l’ultimo batibecco affrontato, quasi non ci confrontavamo più. Ma ad un tratto il ragazzino venne vicino a me e iniziò a parlarmi per la prima volta con un tono stranamente cauto e pacato.
-Vuoi conoscere la mia storia…?
Molto brevemente mi spiegò tutto ciò che avverte, tutto il dolore e la confusione che prova. Avvertii nei suoi occhi una richiesta di aiuto, aveva semplicemente voglia di sfogarsi e forse, non avevo capito nulla di tutto ciò che aveva per la testa.
Dopo qualche secondo di silenzio, lo fissai e gli dissi che forse aveva ragione, non ero nessuno io per dirgli cosa doveva o non doveva fare. Ma lo facevo semplicemente per dargli una mano, per fargli capire che dalle piccole cose, che siano riordinare la stanza; fare i compiti; rispettare tutte le regole; si può cambiare.
Il ragazzino mi guardò, annuì e senza aggiungere altro mi salutò.
Un giorno “qualunque”
Un semplice lunedì mattina, intento nel seguire le attività dei ragazzi, si avvicina Paolo e mi dice:
– Claudio! ti sei dimenticato che dobbiamo riordinare la mia stanza, posso andare?-
Guardo l’orologio, me ne ero proprio dimenticato. Mi lascio sfuggire un sorrisetto sotto i baffi, contento che sia stato il ragazzo a ricordarmelo e gli rispondo:
– Avanti, facciamolo insieme.
Gli occhi di quel ragazzo esprimevano convinzione nei propri mezzi, redenzione, voglia di riscatto.
Era un giorno qualunque, ma per me ha significato molto, stavo imparando a conoscerlo meglio, stava cambiando.
Inizio quarantena
Arriva la notizia che ormai ha bloccato tutto il mondo.
Ed è qui che tutto si è fermato. Tutto quello che stavamo costruendo assieme, non solo con Paolo, si è congelato. Siamo rimasti a casa, in attesa di poter tornare più forti, di tornare a sorridere insieme, di poterci riabbracciare nuovamente.
Oggi
Manca davvero poco.
Ritornerà tutto alla normalità e potremmo tornare a crescere, insieme.

Claudio, giovane del Servizio Civile , Progetto “Finalmente una casa per te” – Salesiani TORRE ANNUNZIATA
Claudio, giovane del Servizio Civile , Progetto “Finalmente una casa per te” – Salesiani TORRE ANNUNZIATA

Dalla festa di don Bosco, la Casa canonica è diventata casa di accoglienza per tre giovani migranti. Succede a Torre Annunziata e la canonica in questione è quella della parrocchia Santa Maria del Carmelo, affidata ai salesiani presenti nella città oplontina fin dal 1929 e divenuti, nel corso degli anni, un punto di riferimento significativo per tantissimi giovani della città e per tutto l’ambiente cittadino, dal punto di vista spirituale, ma anche civile e sociale. Quest’idea è nata nel settembre 2015, dopo aver ascoltato le parole di Papa Francesco: “Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere prossimi dei più piccoli e abbandonati. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario ospiti una famiglia”. Da queste parole, abbiamo trovato l’ispirazione per il nostro progetto. Vogliamo rispondere concretamente all’appello del Papa, in continuità con quanto già cerchiamo di fare quotidianamente: accogliere gli ultimi, fare attenzione alla marginalità attraverso l’oratorio e la casa famiglia. Qui in parrocchia avevamo la casa canonica disabitata, e quindi abbiamo pensato di arredarla per aprirla a chi ha bisogno. Così l’abbiamo ribattezzata “Casa del Carmelo” ed é iniziata quest’avventura. Insieme alla comunità parrocchiale, abbiamo voluto rispondere fattivamente. Proprio la reazione dei parrocchiani ci ha un po’ stupito, non ci aspettavo tanta generosità. All’inizio eravamo un po’ scettici, ci sembrava un obiettivo troppo difficile da realizzare. Quando abbiamo deciso di usare la casa canonica per ospitare chi ha necessità, c’era l’urgenza di fare dei piccoli lavori nell’abitazione e arredare l’appartamento. Ora incredibilmente siamo in una situazione per la quale abbiamo più mobili dello stretto necessario, le persone hanno risposto con immenso altruismo. Siamo un territorio dotato di grande spirito di accoglienza. Ad oggi non sappiamo per quanto tempo si fermeranno i tre ragazzi. L’alloggio non è certamente pensato come una dimora fissa, ma come luogo per rispondere in modo immediato almeno ai bisogni primari o di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese o magari a ragazzi a rischio, che divenuti maggiorenni, non possono più stare in Casa famiglia e non hanno ancora un posto dove andare. Siamo molto contenti di poter dire, che grazie al nostro aiuto, i tre ragazzi accolti, hanno già iniziato a lavorare presso alcuni ristoranti locali. Questo permette loro di cominciare a integrarsi nel nostro territorio. Una storia inizia con don Bosco e che continua .
