
Un anno ormai è già trascorso e, a conclusione di questo progetto, posso affermare che la mia esperienza di volontariato nella casa famiglia “Il Sogno” è stata una vera e propria chiamata di Don Bosco. E’ accaduto in un momento particolare, nel cosiddetto “momento giusto”. Quando ho ricevuto la conferma dell’inizio di questo nuovo percorso, la mia vita è cambiata.
L’entusiasmo e la voglia di fare erano alle stelle ma non mancavano di certo le paure e le preoccupazioni. Un ambiente per me totalmente nuovo, un contesto mai vissuto prima.
Ricordo ancora perfettamente il primo giorno in un cui ho varcato la porta della comunità. Rimasi colpita dalla contrapposizione della accoglienza calorosa dei miei colleghi in una casa ariosa e luminosa, con gli sguardi attenti e scrutatori dei ragazzi nel capire che persona fossi. Ero una perfetta sconosciuta, avevo invaso il loro territorio. Non è stato facile conquistare la loro fiducia e la loro stima, far capire loro che anche io avevo un ruolo in quella casa, che certamente non ero lì solo per avere quattro soldi in tasca e che la convivenza insieme mi avrebbe dato molto di più da inserire nel mio bagaglio di vita.
Non sono mancate le discussioni, i battibecchi, i dispiaceri … ma quando finalmente ricevi un grazie, un sorriso, quando vedi raggiungere dei traguardi nella vita di questi ragazzi che senza il tuo aiuto sarebbe risultato difficile, quando vieni presa in considerazione, quando ti coinvolgono nei loro racconti e cercano un tuo consiglio, il cuore si riempie di gioia e la soddisfazione di aver svolto bene il tuo lavoro è immensa.
Non dimenticherò mai i volti di questi ragazzi, come non dimenticherò mai i miei colleghi operatori che sono stati le mie linee guida; la loro passione e devozione per questo lavoro è così profonda da coinvolgerti inevitabilmente.
Se mi dovessero domandare “Rifaresti mai il sevizio civile? Ne è valsa la pena?”, risponderei con fermezza “Assolutamente si!”. Ho imparato ad avere più coraggio, ad avere più fiducia in me stessa, ad essere più sensibile e comprensiva nei confronti dei ragazzi che hanno precedenti con la legge, andando oltre i pregiudizi e i preconcetti. Il servizio civile è stato un’esperienza che mi ha molto arricchita e sarà sicuramente un trampolino di lancio per il mio futuro professionale e personale.
Sara

Dalla festa di don Bosco, la Casa canonica è diventata casa di accoglienza per tre giovani migranti. Succede a Torre Annunziata e la canonica in questione è quella della parrocchia Santa Maria del Carmelo, affidata ai salesiani presenti nella città oplontina fin dal 1929 e divenuti, nel corso degli anni, un punto di riferimento significativo per tantissimi giovani della città e per tutto l’ambiente cittadino, dal punto di vista spirituale, ma anche civile e sociale. Quest’idea è nata nel settembre 2015, dopo aver ascoltato le parole di Papa Francesco: “Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere prossimi dei più piccoli e abbandonati. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario ospiti una famiglia”. Da queste parole, abbiamo trovato l’ispirazione per il nostro progetto. Vogliamo rispondere concretamente all’appello del Papa, in continuità con quanto già cerchiamo di fare quotidianamente: accogliere gli ultimi, fare attenzione alla marginalità attraverso l’oratorio e la casa famiglia. Qui in parrocchia avevamo la casa canonica disabitata, e quindi abbiamo pensato di arredarla per aprirla a chi ha bisogno. Così l’abbiamo ribattezzata “Casa del Carmelo” ed é iniziata quest’avventura. Insieme alla comunità parrocchiale, abbiamo voluto rispondere fattivamente. Proprio la reazione dei parrocchiani ci ha un po’ stupito, non ci aspettavo tanta generosità. All’inizio eravamo un po’ scettici, ci sembrava un obiettivo troppo difficile da realizzare. Quando abbiamo deciso di usare la casa canonica per ospitare chi ha necessità, c’era l’urgenza di fare dei piccoli lavori nell’abitazione e arredare l’appartamento. Ora incredibilmente siamo in una situazione per la quale abbiamo più mobili dello stretto necessario, le persone hanno risposto con immenso altruismo. Siamo un territorio dotato di grande spirito di accoglienza. Ad oggi non sappiamo per quanto tempo si fermeranno i tre ragazzi. L’alloggio non è certamente pensato come una dimora fissa, ma come luogo per rispondere in modo immediato almeno ai bisogni primari o di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese o magari a ragazzi a rischio, che divenuti maggiorenni, non possono più stare in Casa famiglia e non hanno ancora un posto dove andare. Siamo molto contenti di poter dire, che grazie al nostro aiuto, i tre ragazzi accolti, hanno già iniziato a lavorare presso alcuni ristoranti locali. Questo permette loro di cominciare a integrarsi nel nostro territorio. Una storia inizia con don Bosco e che continua .
